di Alessandro Alviti
Nel 1981, alla fine del Killers World Tour, gli attriti con Paul Di Anno portarono la band a cercare un nuovo frontman, trovando in Bruce Dickinson il sostituto. Per molti fu come un colpo al cuore. Ma è innegabile che la mostruosa estensione vocale del nuovo vocalist, unita alla presenza impetuosa e teatrale nei Live, trasforma e cementa la formazione dopo i momenti negativi con Paul, tanto che Dickinson esordisce addirittura nelle ultime date del tour per poi incidere le sue astrofisiche urla nel terzo album della band.
1982 – The Number of the Beast
L’album per eccellenza dei Maiden: il più venduto, il più imitato, il più lodato, ma anche criticato di satanismo. Senza ombra di dubbio il più geniale, una pietra miliare del metal di ogni tempo, quasi ogni brano è diventato un classico. I Maiden sono cambiati. Via le ultime reminiscenze simil-punk, ormai in declino; l’uscita in quegli anni di altri monumenti del genere come Screaming For Vengeance dei Judas (altro classicone da milioni di copie vendute), Scorpions, Twisted Sister, Venom, il Tribute to Randy Rhoads: è uno dei periodi di massimo splendore per l’Heavy Metal.
Tracce come l’opener Invaders, The Prisoner o Gangland rimangono forse quelle meno conosciute, magari meno “classiche” di altre, ma non meno importanti, rocciose e potenti, con interessanti intrecci chitarristici.
Gangland ad esempio parte con un bello stacco di batteria, poi con un tempo forsennato con ottimi intrecci ritmici, riff graffianti, un bel solo centrale: è assolutamente da rivalutare. Total Eclipse invece non era presente nella prima edizione dell’album bensì un B-side ed è stata inserita nella remasterizzazione di tutti gli album storici dei Maiden nel 1998.
E’ comunque un brano particolare: parte abbastanza anonima, la solita ritmica cadenzata, poi inaspettatamente cambia completamente registro per una parte strumentale davvero bella ed a seguire una serie di stacchi che mi ricordano i Rush di 2112.
Dopo aver dato il giusto risalto a brani meno famosi, passiamo ai classici.
Su tutti la title-track The Number of the Beast, vera bandiera della band. Introdotta da un brano dell’Apocalisse e recitata da un imitatore di Vincent Price, viene recitata ad ogni concerto da migliaia di fans che, non appena sentono la voce recitata, esplodono deliranti. Quindi una micidiale eruzione vocale e quindi una delle cavalcate più belle del Metal!
Run to the Hills, altro brano famosissimo, scelto non a caso come singolo di anteprima, narra la storia della guerra tra i Nativi americani e i soldati europei: Run to the hills run for your lives urlano i soldati che scacciano gli indiani. Un inno che non manca nei concerti da oltre 25 anni ormai.
Hallowed Be Thy Name è in assoluto uno dei brani che adoro di più, ancor più di Number, geniale. La storia di un condannato a morte perfettamente recitata da Dickinson su uno dei classici tappeti d’apertura Maideiani: arpeggio di chitarre elettriche, stacchi con campana a morte, l’immancabile basso di Harris a dare sostanza alla sofferta esecuzione vocale di Bruce.
E qua magari qualcuno mi sosterrà quando dico che la versione originale, soprattutto nella parte a stacchi, perde moltissimo rispetto al Live. La voce è sì magari ancora aspra e non al massimo del cantato (urlato e basta si direbbe); anche gli stacchi e nel riff portante centrale nell’apertura sul tonica alta sembrano imbrigliati. La precisione della registrazione inficia un’accelerazione controllata ma doverosa. Qui, secondo me, nel raffronto con la versione in Live after Death di soli tre anni dopo, ne esce con le ossa rotte: agli ascoltatori l’ardua sentenza.
Come non citare infine intramontabili brani, la ballata Children Of The Damned o 22 Acacia Avenue, continuazione del brano Charlot the Harlot contenuta nel album d’esordio e che continua la saga di Charlot, prostituta che a quanto sembra fosse intima amica del chitarrista Dave Murray e che riceveva visite, per l’appunto, nell’indirizzo indicato nel titolo del brano! 😉
The Number of the Beast Tracklist:
1.Invaders (Harris)
2.Children Of The Damned (Harris)
3.The Prisoner (Harris/Smith)
4.22 Acacia Avenue (Harris/Smith)
5.The Number of the Beast (Harris)
6.Run to the Hills (Harris)
7.Gangland (Smith/Burr)
8.Hallowed Be Thy Name (Harris)
9.Total Eclipse (Harris/Murray/Burr)
Line-up
* Steve Harris – Basso
* Dave Murray – Chitarra
* Bruce Dickinson – Voce
* Clive Burr – Batteria
* Adrian Smith – Chitarra
1983 – Piece of Mind
Album che vede il passaggio di consegne alla batteria del dimissionario (e sempre amato) Clive Burr per gravi problemi di salute(attualmente molto malato, la band non si è mai dimenticata di lui, come i fans, ed ha versato alla famiglia l’intero incasso di alcune date dell’ultimo tour per affrontare la grave malattia che l’attanaglia. Un in bocca al lupo a questo grande artista…) con Nicko McBrain.
Lo stile del il nuovo arrivato, molto più tecnico del predecessore (Clive era diretto e rozzo, della vecchia scuola rock, Nicko arrivava dal Prog e dal Jazz), è stato molto copiato nel tempo da batteristi soprattutto nell’avvento del prog-metal. Questo modo di suonare, diverso rispetto alla direzione precedente, modifica alquanto il sound Maiden. Oltre ad una maggiore presenza nella stesura dei brani da parte di Dickinson, lo stile di Nicko contribuiscea fare in modo che questo album sia il primo capitolo dell’attuale sound della band (e forse quello che li caratterizza maggiormente).
Intendiamoci, è un grande album, ma non all’altezza del capolavoro precedente. Ma da qui nascono i maggiori intrecci chitarristici, i brani diventano più complessi, con intro arpeggiate più diffuse e parti poderose e ancor più potenti che in precedenza.
Da non sottovalutare il fatto che in una band in continuo movimento la linfa vitale che arriva dai cambiamenti repentini di line-up, anzichè mettere in crisi la band, sembra plasmare ancor più il sound e le idee che, almeno fino a fine anni 80, vedranno la band non ripetersi più di tanto (nei limiti del genere, ovvio).
Praticamente ogni full-lenght degli 80 dei Maiden contiene svariati classici, veri single 45 giri che hanno scalato le chart mondiali nel corso degli anni. Non è esente ovviamente Piece of mind, del quale su tutti si ricorda la geniale The Trooper, cavalcata spettacolare tra riff incisivi e un alone semi prog.
Struttura decisamente diversa da quelle dei precedenti lavori, il brano narra di un “cavalleggero” inglese durante la guerra di Crimea nell’800 che si lancia a morire contro le truppe russe. Forse per questo spesso questa canzone viene associata ad uno degli ascolti prediletti dai militari USA durante le missioni di “pace” in giro per il mondo…
La varietà dei testi è un altro punto forte del cambiamento che troviamo in questo quarto capitolo: si passa da storie plebee (killer, ragazzi che fuggono da casa, plebei, prostitute) a storie e personaggi più epici e/o storici, complice in parte la cultura di Dickinson che, come detto, influenzerà d’ora in avanti moltissimo le tematiche affrontate, ma anche una sterzata del metal stesso verso racconti di Tolkien e la comparsa dell’Epic-Metal (vedi Manowar et similia).
Flight of Icarus, secondo 45 giri estratto, è un altro esempio di questo cambio di soggetto.
Bruce pesca a piene mani nella mitologia classica e le scelte stilistiche danno, secondo me, ragione alla band.
Qui trovo cori che magari appariranno ai più commerciali e ultra sentiti. Ma in quel periodo l’utilizzo stesso del canto di voce o chitarra suonate lente, per enfatizzare la solennità, su di una base ritmica rocciosa e sostenuta, era davvero all’avanguardia, magari non originale, ma sviscerata a quei livelli poteva risultare un grande azzardo. Soprattutto perchè in molti tacciarono la band di aver cambiato troppo rispetto a Number of the Beast, incolpando in primis il nuovo batterista, che comunque non firmerà nessun brano fino al 2005
.
Il brano che forse in futuro sarà invece quello di maggior influenza nel Metal risulterà essere il conclusivo To Tame a Land.
Altro colpo di genio di Harris, brano di chiara ispirazione Prog, con continui cambi di registro e stacchi molto complessi.
Come non menzionare Where Eagles Dare (Dove osano le aquile, ispirato alla novella omonima) e Die With Your Boots On, spesso esibite dal vivo fino agli ultimi tour, mentre tra le mie preferite c’è la splendida Still Life, col classico intro: arpeggio chitarra/basso, con un bel solo di Murray per poi scivolare verso una delle più convincenti prove vocali di Bruce, dolce ed aggressivo, senza eccessi. Bella forse più la strofa del ritornello.
Anche questo brano dal vivo rende al massimo, soprattutto nella parte centrale strumentale, dove il riff di chitarre che apre su un gran bel paio di solo è bellissimo. Altrettanto geniale la riapertura sulla voce e l’uso dei cori, che cominciano ad impreziosirsi come mai in precedenza.
Insomma Piece of Mind ci restiuisce dei Maiden più attenti al risultato, al sound, magari anche agli stereotipi tanto cari al Metal, molto meno rozzi che nel passato recente, per quella che forza sarà la loro ultima e definitiva trasformazione.
Piece of Mind Tracklist:
1.Where Eagles Dare (Harris)
2.Revelations (Dickinson)
3.Flight of Icarus (Smith/Dickinson)
4.Die With Your Boots On (Smith/Dickinson/Harris)
5.The Trooper (Harris)
6.Still Life (Murray/Harris)
7.Quest for Fire (Harris)
8.Sun and Steel (Dickinson/Smith)
9.To Tame a Land (Harris)
Line-up
* Steve Harris – Basso
* Dave Murray – Chitarra
* Bruce Dickinson – Voce
* Nicko McBrain – Batteria
* Adrian Smith – Chitarra
Alessandro Alviti
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